Formazione

L’OSS e l’approccio al paziente con disturbo intellettivo

Dal ritardo mentale alla disabilità intellettiva

L’espressione ritardo mentale è stata abbandonata dalla cultura scientifico-sociale e sostituita da quella disabilità intellettiva. Tale espressione è da preferire perché si focalizza sui comportamenti funzionali e sui fattori contestuali ed è più idonea a garantire sostegni individualizzati grazie al fatto che si fonda su una prospettiva che tiene conto dell’interazione tra la persona e l’ambiente.

Non trascurabile è la condizione che tale espressione appare meno offensiva nei confronti di persone affette da disabilità e possiamo considerarla maggiormente in linea con la terminologia internazionale.
Nel DSM 5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) l’espressione <<ritardo mentale riportata nella precedente versione del manuale è stata sostituita da (disturbo dello sviluppo intellettivo). Con questa dicitura s fa riferimento a quei disturbi che insorgono nel periodo dello sviluppo che riguardano disfunzioni intellettive e adattive negli ambiti della concettualizzazione, della socializzazione e delle capacità pratiche.

In base ai nuovi parametri diagnostici, per poter formulare la diagnosi in accordo al DSM, occorre tener conto di tre criteri:

  • Rilevazione di deficit delle funzioni intellettive (riguardanti, ad esempio, l’apprendimento, il problem, solving l’abilità di calcolo) confermato sia da valutazione clinica che da prove d’intelligenza individualizzate e standardizzate;
  • Insorgenza del deficit durante il periodo dello sviluppo.

I livelli di gravità del deficit sono quattro:

  • Lieve;
  • Moderato;
  • Grave;
  • Gravissimo

Diagnosi e livelli di disabilità intellettiva secondo il DSM 5

La diagnosi di disabilità intellettiva è basata sia sulla valutazione clinica sia su test per le funzioni intellettive e adattive. Nella pratica vengono utilizzati diversi tipi di test. I più diffusi sono: la Scala-Standford-Binet e i testi della serie Wechsler (WPPSI, WISC-R, WAIS). Il test consiste nel sottoporre il soggetto ad una serie di prove, il numero di prove superate permette di valutare il suo Quoziente intellettivo (QI).
Gli individui con disabilità intellettiva hanno un QI al di sotto della media (QI inferiore a 70). Ulteriori informazioni provengono dai genitori e dalla figure accudenti. Particolare attenzione meritano la storia della gravidanza, del travaglio, del parto e ancora la consanguineità dei genitori o nelle loro famiglie.

Le caratteristiche essenziali della disabilità intellettiva, come detto, sono i deficit delle capacità mentali e un funzionamento adattivo quotidiano compromesso rispetto a quello di individui della stessa età, sesso e livello socioculturale.

Le funzioni intellettive da osservare sono:

  • il ragionamento,
  • problem solving,
  • Pianificazione
  • pensiero astratto,
  • capacità di giudizio,
  • apprendimento dall’istruzione e dall’esperienza,
  • comprensione pratica,
  • comprensione verbale,
  • memoria di lavoro,
  • ragionamento percettivo,
  • ragionamento quantitativo,
  • pensiero astratto,
  • efficacia cognitiva.

I deficit del funzionamento adattivo riguardano il modo in cui una persona soddisfa gli standard di autonomia personale e di responsabilità sociale della comunità, in confronto con altri della stessa età e della stessa estrazione socio-culturale.

In particolare l’ambito sociale comporta:

  • la consapevolezza dei pensieri;
  • la consapevolezza dei sentimenti;
  • La consapevolezza delle esperienze degli altri;
  • L’empatia
  • L’abilità di comunicazione interpersonale;
  • Le capacità nei rapporti di amicizia;
  • Il giudizio sociale.
  • L’ambito pratico invece comporta:
  • L’apprendimento e l’autocontrollo nei vari aspetti della vita;
  • La cura di sé;
  • Le responsabilità lavorative;
  • La gestione del denaro;
  • Lo svago;
  • L’autocontrollo del comportamento;
  • L’organizzazione dei compiti scolastici e lavorativi

La diagnosi e i livelli di gravità sono definiti anche in base al funzionamento adattivo e non al solo punteggio del quoziente intellettivo (QI), perché il livello di assistenza richiesta dipende dal funzionamento adattivo. Infatti una persona può avere un QI elevato ma grosse incapacità di giudizio sociali e nel prendere decisioni che il suo funzionamento effettivo è paragonabile a persone con QI nettamente più basso.
Più complessa può essere la diagnosi eziologica ossia l’accertamento delle cause della disabilità intellettiva che sono molteplici e richiedono indagini strumentali e di laboratorio in base alle indicazioni che derivano dall’anamnesi e dall’osservazione.


Cause della disabilità intellettiva


Le cause del ritardo mentale possono essere molteplici. Tra le più comuni possiamo trovare:

  • Infezioni in gravidanza

I prerequisiti importanti per lo sviluppo globale del feto includono

  • Salute Fisica
  • Psicologia
  • Nutrizione della madre durante la gravidanza

Le malattie croniche materne che influenzano il normale sviluppo del sistema nervoso del feto includono:

  • Il diabete scompensato,
  • L’anemia
  • L’ipertensione,
  • L’uso cronico dell’alcool,
  • Le sostanze stupefacenti

Le infezioni materne in gravidanza, specialmente quelle virali, possono causare un danno all’età gestazionale del feto, alla gravità della patologia. Sebbene siano numerose le malattie infettive che coinvolgono il sistema nervoso centrale del feto.

Sono state considerate come condizioni ad altro rischio per ritardo mentale:

  • La Rosolia,
  • La Malattia da inclusioni citomegaliche,
  • La Toxoplasmosi
  • Uso di farmaci e sostanze stupefacenti in gravidanza

Il potenziale effetto teratogeno (cioè che può causare malformazioni) di agenti farmacologici somministrati durante la gravidanza è stato ampliamente pubblicizzato dopo la tragedia della talidomide (il farmaco causò la nascita di un’elevata percentuale di bambini malformati quando venne somministrato a donne in stato di gravidanza).
L’Uso del litio durante la gravidanza è stato recentemente implicato in alcune malformazioni congenite, specialmente del sistema cardiovascolare. Molti bambini esposti all’alcool e droghe durante la gravidanza possono essere ritardi e stigmate fisiche. Quelli nati da donne che in stato di gravidanza hanno abusato di eroina e cocaina possono presentare ritardo dello sviluppo, con prognosi a lungo termine ancora sconosciuta.
Sindromi genetiche: Sindrome Down, sindrome X Fragile e altre malattie genetiche.
Sono indotte da alternazioni cromosomiche. Quando l’anomalia si verifica a carico di quelli autosomici è presente in genere ritardo mentale. Analizzeremo le principali malattie su base genetica.

La sindrome di Dowm

Fu scritta per la prima volta nel 1866 dal medico inglese John Langdon Down. E’ denominata anche trisomia 21 perché è caratterizzata dalla presenza di tre cromosomi 21, invece di due. La causa della sindrome di Down non è a tutt’oggi bene chiara.

Sostanzialmente si è arrivati a capire che i pochissimi fattori predisponenti ai disordini cromosomici potrebbero essere:

  • L’età avanzata del padre,
  • I raggi X

L’incidenza della sindrome di Down e di circa 1 ogni 650 nascite. Si presenta con alterazioni fisiche. I bambini erano originariamente chiamati mongoloidi a causa degli occhi a mandorla, dell’epicanto e del naso piatto. Frequenti sono anche malformazioni agli organi interni (particolarmente frequenti sono le cardiopatie) e alterazioni del sistema immunologico.
La disabilità intellettiva è una caratteristica costante anche se di entità variabile. L’attesa di vita era per il passato molto bassa. Oggi, con i progressi della medicina, si è notevolmente allungata.

La sindrome della X-Fragile o sindrome di Martin Bell.
La sindrome scoperta di recente, è una frequente causa genetica di ritardo. Non sempre questo tipo di disturbo genetico è di facile identificazione, non avendo (come, ad esempio, nel caso della sindrome di Down) caratteristiche fisiche evidenti e presentandosi in forme di gravità differente. Sia i maschi che le femmine possono essere affetti, anche se generalmente sono i maschi ad essere più severamente compromessi, e per questo più facilmente identificati.

Dal punto di vista cognitivo, le difficoltà di apprendimento sono comuni e più evidenti nei maschi, sebbene anche le loro capacità cognitive possono essere molto variabili. Approssimativamente, l’80 % dei maschi con questa sindrome, manifesta difficoltà di apprendimento. Per quanto riguarda il linguaggio, le difficoltà variano dalla completa assenza del linguaggio a disturbi della comunicazione verbale.
Dal punto di vista del comportamento i soggetti colpiti da X Fragile sono spesso estremamente distraibili e impulsivi. Possono avere una capacità di attenzione molto limitata e molti di loro tendono ad essere iperattivi. Quest’ultimo disturbo tende a diminuire con l’età, mentre le difficoltà di attenzione restano fonte di problemi sia nell’adolescenza che nell’età adulta.

Inoltre, i maschi con sindrome X Fragile possono mostrare inusuali atteggiamenti, quali, ad esempio, procurarsi morsi in maniera volontaria le mani e le braccia o sbattere le mani quando sono in condizioni di eccitamento sovrastimolazione. Spesso gli individui di sesso maschile con X Fragile, manifestano comportamenti di tipo autistico, quali uno scarso contatto visivo con l’interlocutore, avversione nell’essere toccati, atteggiamenti stereotipati e ripetitivi, linguaggio ripetitivo, rigidità a sviluppare interessi, difficoltà ad accettare i cambiamenti della loro routine abituale, fatto che provoca in loro attacchi d’ira o problemi di comportamento. Tuttavia, solo una minoranza mostra sintomi evidenti di autismo.

La sindrome del Cri-du-chat.
I bambini con sindrome del <> (sindrome del piatto del gatto) mancano di parte del quinto cromosoma. Sono gravemente ritardati e mostrano molte stigmate spesso associate ad aberrazioni cromosomiche, come microcefalia, orecchie ad inserzione bassa, fessure palpebrali oblique, ipertelorismo e micrognatia . Il caratteristico grido da gatto, causato da anomalie laringee, che ha dato il nome alla malattia, gradualmente cambia e scompare con il progredire dell’età.

La Fenicheltonuria (PKU)
È stata descritta per la prima volta nel 1934, come errore congenito del metabolismo. Il difetto metabolico di base nella PKU è l’incapacità di convertire la fenilalanina, un aminoacido essenziale, in paratirosina, a causa dell’assenza o dell’inattività dell’enzima epatico (fenilalanina idrossilasi).
La diagnosi precoce è importante, dato che una dieta bassa fenilalanina migliora significativamente sia il comportamento che il processo di sviluppo. I risultati migliori sembrano ottenersi con la diagnosi precoce e l’inizio del trattamento dietetico prima dei 6 mesi d’età. Esso, comunque, non è senza rischi. Essendo la fenilalanina un aminoacido essenziale, la sua esclusione dalla dieta può condurre a complicazioni gravi e a morte. La dieta deve essere continuata a vita.
I bamabini che ricevono la diagnosi prima dei tre mesi e sono posti in un regime dietetico ottimale, possono sviluppare un’intelligenza normale. In quelli più grandi e negli adolescenti non trattati, una dieta a fenilalanina bassa non influenza il livello della disabilità intellettiva. La dieta, comunque, diminuisce l’irritabilità e aumenta la responsività sociale e l’attenzione.
Infezioni e traumi
Occasionalmente l’andamento dello sviluppo di un bambino può essere pregiudicato in modo negativo come risultato di una malattia o di traumi fisici specifici. Le più gravi, quelle che ledono l’integrità cerebrale, sono le encefaliti e le meningiti. La causa più frequente di trauma cranico che produce handicap di sviluppo, è costituita da gli incidenti stradali. Un elevato numero di incidenti avviene, tuttavia, all’interno delle mura domestiche (cadute da tavoli, da finestre aperte, da scale) o da violenze subite.

Le paralisi cerebrali infantili
Associato al deficit mentale è spesso il gruppo delle <>, riscontrabile nella popolazione infantile in una percentuale ancor oggi elevata. Si intende per P.C.I. un complesso sintomatologico, esito di affezione cerebrale, il cui sintomo principale, o almeno il più evidente, è rappresentato dal disturbo della motilità.
Il danno anatomo-patologico è prevalentemente a carattere lesionale, per danni intervenuti in epoca fetale tardiva (orientativamente dopo il 5°mese di gravidanza) o perinatale. L’aspetto clinico delle paralisi cerebrali infantili comprende, oltre alla sintomatologia motoria, anche altri numerosi disturbi, quali turbe sensitive e sensoriali, difetti mentali, convulsività, disturbi del linguaggio, disturbi emozionali.
La disabilità intellettiva è, comunque, più frequente nei tetraplegici, mentre ne sono relativamente meno colpiti i monoplegici, gli emiplegici e gli atetosici. Relativamente frequenti le turbe dell’articolazione verbale (disartrie-anartrie), dovute anche alla spasticità o alla incoordinazione dei muscoli della bocca, del faringe, dei muscoli respiratori o alle discinesie del diaframma.

Sviluppo e decorso
L’esordio della disabilità intellettiva dipende dalla causa e dalla gravità della disfunzione cerebrale. Se dipende da malattie genetiche ed è grave può essere presente fin dalla prime fasi di vita anche se assume un’espressività diversa nelle diverse fasi dello sviluppo, ad esempio, nel primo anno di vita è possibile osservare difficoltà nell’acquisizione delle principali tappe dello sviluppo psicomotorio, mentre nel secondo- terzo anno può manifestarsi la mancata acquisizione del linguaggio.
Se, invece, è determinata da malattie come la meningite o da un trauma cranico l’esordio è improvviso e può comprendere la perdita di capacità cognitive già acquisite. Nei casi in cui è <>, la disabilità intellettiva può restare latente per tanto tempo prima che venga riconosciuta, di solito in età scolare quando diventano evidenti le difficoltà di apprendimento.
Anche il decorso dipende dalle cause, dalla gravità e dalla presenza di altre condizioni contaminanti. IN alcuni disturbi genetici, ad esempio, ci sono periodi di peggioramento seguiti da periodi di stabilizzazione, in altri casi vi può essere un progressivo peggioramento. L’incidenza è progressivamente una volta e mezzo più frequente tra i maschi che tra le femmine.
Interventi precoci e continuativi possono migliorare il funzionamento intellettivo adattivo.

Diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale fa effettuata soprattutto nei riguardi di pseudo – insufficienza mentale : gli individui provenienti da famiglie deprivate, che forniscono una stimolazione inadeguata, possono manifestare un ritardo motorio e mentale che, però, può essere almeno parzialmente reversibile se viene fornito loro un ambiente arricchito o stimolante, in particolare nella prima infanzia.
Nei bambini con disturbi specifici dello sviluppo si riscontra un ritardo o un’insufficienza in un’area specifica, come la lettura o il linguaggio, mentre l’intelligenza si sviluppa normalmente nelle altre. Al contrario, i bambini con disabilità intellettiva mostrano ritardi generalizzati. Un problema diagnosticato difficile è quello tra ritardo grave, disturbo autistico e schizofrenia ad e esordio nell’infanzia.

La confusione deriva essenzialmente dal fatto che quando i bambini vengono valutati, spesso mostrano comportamenti:

  • Bizzarri
  • Stereotipati
  • Mutismo
  • Ecolalia

Spesso è difficile distinguere tra un’insufficienza dello sviluppo intellettivo ed emozionale e un’evoluzione precocemente psicotica, due condizioni difficilmente separabili. Infatti uno sviluppo in senso psicotico comunque riscontra un deficit dell’apprendimento e, quindi anche un deficit dello sviluppo intellettivo,

L’OSS e le proposte operative per soggetti con disabilità psico-fisiche
Nell’ambito della disabilità psicofisica rientrano svariate tipologie di disabilità che corrispondono a persone con disparate caratteristiche fisiche e sensoriali. In questa sede proporremo un approccio molto generico finalizzato all’inclusione e l’integrazione che può essere comunque utilizzato, se opportunamente personalizzato, in gran parte dei casi in un ambiente nel quale ci sia un alunno portatore di disabilità psicofisica.

È comunque sempre importante:

  • Creare empatia con la persona partendo dai suoi interessi, da ciò che gli piace e lo appassiona cercando punti di contatto anche (e soprattutto) con l’ambiente circostante.
  • Favorire lo sviluppo e valorizzare le abilità diverse di ciascun individuo è portatore.
  • Proporre sempre attività che suscitano l’attenzione verso la persona, veicolando l’attenzione in relazione agli ambienti più appropriati per la persona.
  • Favorire l’inclusione e l’integrazione nel gruppo attraverso attività di condivisione emotiva.

Un operatore socio-sanitario che abbia un reale interesse per la propria professione e sia motivato ad apprendere riesce ad acquisire una preparazione tecnica, un’autonomia professionale ed una consapevolezza del proprio ruolo in un tempo relativamente breve e circoscritto, pari generalmente alla durata del corso.

Formandosi attraverso l’acquisizione di nozioni teoriche, attraverso simulazioni pratiche, e grazie alla preziosa esperienza di tirocinio, apprende in breve tempo le tecniche necessarie, sperimenta i casi di urgenza più frequenti, viene a contatto con le situazioni che si ripresenteranno più spesso nel corso della propria esperienza lavorativa. Grazie alla riproduzione delle tecniche apprese, applicabili con la quasi totalità dei pazienti, si matura un’esperienza e si acquisiscono competenze che conferiscono gradualmente sempre maggiore sicurezza professionale.

Per un operatore socio-sanitario che lavori nelle strutture in cui sono presenti persone con disagio psichico il percorso non è sempre così lineare. Il suo lavoro è spesso indefinito, le competenze tecniche apprese non sempre sono sufficienti, gli strumenti relazionali da usare ed i luoghi dove usarli sono diversi e molteplici. Ma la differenza sostanziale risiede nella integrità della persona: chi soffre di un disturbo mentale è una persona annientata dalla sua stessa sofferenza, ammalato in una parte di sé che è intangibile, perde la sua capacità di chiedere aiuto e spesso anche di accettarlo.

Parlare di disagio psichico tout-court appare tuttavia riduttivo, dal momento che sotto il nome di disagio psichico transita una gran quantità di etichette nosografiche, spesso in comorbilità tra loro (che si presentano cioè insieme nella stessa persona), e che presentano criteri diagnostici, una sintomatologia e un trattamento profondamente diversi.

In ogni caso, l’operatore che presti il proprio servizio in altri ambiti è abituato ad assistere pazienti che generalmente si fanno accudire volentieri, si fanno lavare, toccare, sono riconoscenti a chi con attenzione e cortesia si occupa di loro e dei loro bisogni. Sono grati a chiunque si avvicini loro con una parola di conforto, per ascoltarli, per sostenerli in quegli attimi di vulnerabilità tipici dello stato di malattia.

Nel caso del paziente psichiatrico, egli può rifiutare la vicinanza degli operatori che desiderano aiutarlo, può rifiutare il supporto farmacologico, può rifiutare di lavarsi ed accudirsi o di lasciarlo fare a chi lo farebbe per lui.

Di fronte al paziente che rifiuta tutto, può insultare, può aggredire, non vuol farsi toccare; l’operatore può perdere le proprie sicurezze, può pensare di aver perso la capacità di svolgere il proprio lavoro, avverte imbarazzo nel dover chiedere ai colleghi o agli altri sanitari.

Le difficoltà nel saper gestire la relazione operatore-paziente può essere ulteriore fonte di frustrazione, ansia, rabbia, impulsività; si rischia così di assumere atteggiamenti che non permettono più di percepire i reali bisogni del paziente. E il tempo dei normali reparti, scandito dalle numerose cose da fare, contribuisce a determinare e mantenere le distanze. Si corre così il rischio di cadere, a maggior ragione a contatto con la malattia psichica, nelle insidie della tanto temuta sindrome da burn-out (Maslach, 1986) una condizione di esaurimento psicofisico che a lungo andare non permette più all’operatore di rintracciare nel proprio lavoro le caratteristiche, le motivazioni, le ragioni per cui si è scelto.

E’ per tale motivo che l’operatore deve innanzitutto mantenere il più possibile salda la propria stabilità emotiva: lavorare con pazienti con disagio psichico richiede infatti, oltre che una buona capacità relazionale, anche una buona capacità di contenimento emozionale, competenza che non si improvvisa ma che si costruisce gradualmente sviluppando una propria capacità di introspezione, di guardarsi dentro e di essere a contatto con se stessi e con le proprie emozioni.

L’operatore che si troverà ad agire interventi e servizi nei confronti di persone con disagio psichico dovrà sapersi mettere in sintonia con l’altro, per riuscire a comprenderne il punto di vista e saper entrare con lui in una relazione d’aiuto significativa.

Inoltre l’operatore che lavora in questo contesto non prenderà in carico soltanto la persona ma l’intero contesto di riferimento, familiare e comunitario, ed in tal senso la sua azione non sarà rivolta solo al singolo ma all’intera rete con la quale egli dovrà relazionarsi affinché la persona possa trarre reale beneficio dall’assistenza.

La relazione tra la persona e la propria famiglia è infatti di fondamentale importanza per il recupero dell’assistito ed incide fortemente sul proprio stato emotivo.

E’ per tale motivo che è fondamentale stabilire un contatto con i familiari del paziente: per coinvolgere la famiglia bisogna tener conto delle necessità e delle esigenze dei singoli componenti, considerandola come un insieme di persone che hanno bisogno di aiuto per un loro membro ma anche per loro stessi, poiché quando c’è un malato grave in famiglia, è la famiglia stessa ad aver bisogno di supporto. Se la famiglia si sente coinvolta, partecipe, si sente considerata, di riflesso anche l’assistito più facilmente si rende conto dell’importanza di mantenere un contatto sociale e aumenta la fiducia verso l’operatore.La malattia psichica è inoltre fortemente emarginante dal punto di vista sociale, poiché il paziente spesso fatica a mantenere un lavoro, a coltivare degli interessi e delle relazioni e rare sono le occasioni in cui può entrare a contatto con la comunità e con l’ambiente esterno.

E’ per questo che l’attivazione di un reale processo di sostegno richiede che l’operatore rappresenti anche un’occasione di contatto sociale per l’assistito e già da lui possa iniziare un intervento di reinserimento sociale.

Nei programmi terapeutici per pazienti con disagio psichico l’OSS potrà essere quindi coinvolto in azioni che riguardino non soltanto la cura fisica della persona, ma anche e soprattutto in azioni che sostengano la persona nell’ambito del proprio quotidiano.

I programmi terapeutico-riabilitativi in questo contesto prevedono un complesso e composito percorso di cura che viene valutato periodicamente dall’equipe multidisciplinare e che in genere prevede un supporto farmacologico, un supporto psicologico, spesso appunto anche ai familiari e, laddove possibile, la pianificazione di attività di reinserimento sociale.

All’interno di questo progetto si collocano le azioni dell’OSS che andranno quindi a posizionarsi, a seconda del progetto individuale, verso azioni orientate alla cura della persona, a favorire attività tese all’autosufficienza, ma anche ad azioni che favoriscano l’autodeterminazione individuale dell’assistito.

In tal senso, è importante ricordare che la finalità di questo lavoro è soprattutto assistere, prendersi cura della persona, per favorirne il benessere e l’autonomia: per fare questo, tanto più in un ambito affascinante e complesso quale è quello dell’assistenza alle persone con disagio psichico, gli operatori socio-sanitari sono chiamati a mettere in gioco se stessi, anche dal punto di vista personale, utilizzando strumenti relazionali che è possibile apprendere, ma solo con tanto impegno e dedizione.

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Redazione OSSnews24

Operatore Socio Sanitario

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