Scuola. Con i bambini aspettare significa guadagnare tempo “Rivedere l’insegnamento sui loro bisogni e non in base alle prestazioni”
Imparare, o meglio reimparare, ad aspettare (e rispettare) i tempi dei bambini perché, come insegnano i vecchi presupposti della pedagogia, “quando si parla di bambini aspettare significa guadagnare tempo”. Lo sottolinea Magda Di Renzo, responsabile del servizio Terapia dell’Istituto di Ortofonologia (IdO), nel corso del convegno per i 50 anni dell’Istituto, in programma fino a domenica. Sulla stessa scia Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell’età evolutiva e direttore IdO, evidenzia come trent’anni fa “i bambini potevano sbagliare, potevano metterci più tempo a fare le cose, e per questo avevamo meno disturbi d’apprendimento. Dunque- si chiede- perché accelerare per poi doversi fermare? L’anticipo di una prestazione, e non di un processo di apprendimento, è una delle cose per cui ci battiamo da tempo”.
A dimostrazione di quanta importanza abbia ‘l’attesa’, Castelbianco propone un excursus storico che mette a confronto come si siano evoluti nel tempo gli screening sui prerequisiti 3-5 anni. “Nel 1987 gli apprendimenti erano più graduali e rispettosi delle tappe di sviluppo- sottolinea- Oggi ai bambini si insegna in anticipo e, siccome riescono, si pensa che siano pronti ad andare in prima elementare”. Ma la realtà la fotografa un confronto tra lo screening su 1.058 bambini e bambine nel 1987 e lo screening su 1.089 bambini e bambine del 2019. “Innanzitutto 34 anni fa gli anticipatari, ossia quelli che andavano a scuola a 5 anni, erano lo 0%, oggi sono il 12%. Un dato su cui bisogna riflettere perché il fatto che magari sappiano scrivere non vuol dire che siano pronti per cambiare ciclo scolastico”, spiega Castelbianco.
Per quanto riguarda poi lo screening psicomotorio, in particolare la coordinazione oculo-manuale, la coordinazione dinamica e l’equilibrio, lo screening del 1987 evidenziava come i bambini di 4 anni avessero le capacità come quelli di 5 e i piccoli di 5 anni avessero le capacità come quelli di 6. Mentre nel 2019 sia a 4 che a 5 anni i bambini avevano capacità in linea con la loro età. A 6 anni poi, sia nel 1987 che nel 2019, i bambini avevano capacità pari a 6 anni. “Vuol dire che 30 anni fa erano in grado di andare un anno avanti nella coordinazione, cosa che, invece, i bambini di oggi non sono più capaci di fare. Dunque l’educazione psicomotoria sarebbe una delle cose da rivalutare perché consente la maturazione e i processi di sviluppo esperienziali e cognitivi”, sottolinea il direttore IdO.
Così come, “abituati a utilizzare tablet e altri device elettronici già da 1 anno, i bambini sviluppano un’intuizione iconica che non aiuta né la creatività né l’elaborazione della fantasia”, sottolinea ancora Castelbianco. Secondo una ricerca effettuata dall’IdO, intervistando 670 genitori, il 4% dei bambini di 1 anno utilizza il tablet per più di 3 ore al giorno. Questo significa che “nei bambini di oggi abbiamo prestazioni razionali migliori, ma prestazioni creative peggiori, sanno gestire tablet o telefonino ma se devono inventare qualcosa non lo sanno fare perché nessuno li ha stimolati come si faceva una volta”, evidenzia ancora Di Renzo.
Dunque gli esperti IdO si chiedono, in conclusione, se “non sarebbe opportuno rivedere alcune modalità di insegnamento partendo dal presupposto di cosa recepiscono meglio i bambini, cosa serve loro e non quali siano le prestazioni”.
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