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Mondovì (Cuneo), andava in giro vestito da frate: oss condannato per sostituzione di persona

La singolare storia di un operatore socio-sanitario denunciato dal vescovo. Si qualificava come membro di una sedicente chiesa anglocattolica.

“L’abito non fa il monaco”, recita un celebre adagio popolare. È questo, almeno secondo il Tribunale di Cuneo, il caso di L.Z., operatore socio-sanitario residente a Pianfei, condannato per sostituzione di persona in quanto andava in giro vestito da frate.

La segnalazione all’autorità è partita dal vescovo di Mondovì, Egidio Miragoli, dopo che il vicario generale della diocesi, monsignor Flavio Begliatti, aveva portato alla sua attenzione una curiosa richiesta. Proveniva da L.Z. e da un sedicente vescovo della diocesi del Caribe y la Nueva Grenada, un soggetto con precedenti penali per truffa che già una ventina d’anni fa era salito all’onore delle cronache. In quell’occasione si era spacciato per un sacerdote in Sardegna per diversi mesi, concelebrando matrimoni e praticando esorcismi dietro lauto compenso. Più tardi era stato denunciato per furto ai danni di un istituto ecclesiastico veronese, presso il quale si era presentato come seminarista.

Il “frate” e il “vescovo” questa volta avevano chiesto alla diocesi monregalese il permesso di concelebrare funzioni religiose. Avvertito dell’accaduto, monsignor Miragoli ha preso carta e penna per avvisare i preti della diocesi, nonché i carabinieri della locale compagnia, circa l’attività di “due figure che si presentano come autorità ecclesiastiche appartenenti alla chiesa anglo-cattolica”. Il vescovo avvertiva inoltre del fatto che “sono già stati in altre diocesi italiane, ingannando fedeli e sacerdoti e simulando la celebrazione di sacramenti”.

I successivi accertamenti dell’Arma hanno fornito riscontri ai sospetti delle autorità ecclesiastiche. Nell’armadietto di L.Z., assunto presso la casa di riposo Sacra Famiglia di Mondovì, erano stati ritrovati bigliettini con i nomi segnati a mano degli ospiti della residenza: per gli inquirenti, una prova del fatto che i due meditassero di raggirare qualche anziano presentandosi “sotto mentite spoglie”.

“Solo l’intervento provvidenziale di monsignor Miragoli e di monsignor Begliatti ha evitato il peggio” ha sostenuto il pubblico ministero Alessandro Borgotallo, per il quale “non abbiamo nessuna prova che questa sedicente ‘Iglesia Anglicana del Caribe y la Nueva Granada’ esista, salvo prendere per buono ciò che viene pubblicato dal sito internet della chiesa stessa”. Oltre ai riscontri delle perquisizioni nell’abitazione condivisa dai due a Pianfei e sul posto di lavoro di L.Z., ha ricordato il rappresentante dell’accusa, pesava il fatto che “queste persone sono state fermate in auto a Mondovì Breo assieme ad altri due soggetti, i cui precedenti penali sono assolutamente identici, con indosso gli abiti talari. Uno vestito da frate, l’altro da vescovo”. Il fatto che la chiesa dichiarasse di possedere un’autorizzazione da parte del ministero dell’Interno, ha aggiunto il procuratore, non equivale a un riconoscimento: “La chiesa non ha nemmeno degli appartenenti ma dichiara ‘duecento followers’ sulla propria pagina social”.

A queste argomentazioni ha replicato l’avvocato Francesca Bertazzoli, secondo cui la posizione di L.Z. va differenziata da quella del coimputato C.G.: il “frate” si era dichiarato “ministro del culto di una chiesa effettivamente esistente”, mentre il presunto “vescovo” “ha parlato di una prelatura che è sconosciuta al ministero dell’Interno e che ha allertato monsignor Miragoli”. In quanto oss della casa di riposo, ha aggiunto il legale, l’imputato non avrebbe avuto bisogno di altre qualifiche per accedere alla Sacra Famiglia: “Nell’armadietto di lavoro sono stati rinvenuti foglietti in cui si possono riconoscere le abbreviazioni ‘traverse’, ‘federe’, ‘asciugamani’, vicini alle quantità e ai nomi degli anziani presso cui doveva portarle”. In ogni caso L.Z. sarebbe stato in possesso dei decreti di ordinazione presbiteriale come ministro della chiesa anglicana del Caribe, autorizzata dal Viminale nel 2018 a promuovere una raccolta fondi.

Quanto osservato dalla difesa non è stato ritenuto dirimente dal giudice Sandro Cavallo, il quale ha condannato l’imputato a quattro mesi di reclusione contro i sei richiesti dalla Procura. Al 20 gennaio prossimo è fissata l’udienza del procedimento separato a carico del coimputato.

Redazione Ossnews24

Fonte: Cuneodice.it

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