“L’idea che le persone con disturbi psichiatrici fossero soggetti passivi che dovevano subire trattamenti forzati piuttosto che persone da coinvolgere in maniera attiva nella cura è stata a lungo il principio ispiratore dei manicomi. Si trattava di strutture che erano delle carceri a tutti gli effetti: si preoccupavano di controllare e reprimere il disagio più che di fornire degli strumenti per superarlo. Non si è a lungo tenuto conto dei contesti ambientali, sociali e relazionali che vivevano le persone con disagio mentale e che in molti casi hanno avuto conseguenze negative sulla loro salute e sull’efficacia degli interventi”. È quanto scrive in un articolo sul suo sito la deputata del Movimento 5 Stelle Celeste D’Arrando, prima firmataria della Proposta di Legge “Introduzione sperimentale del metodo del Budget di Salute per la realizzazione di progetti terapeutici riabilitativi individualizzati”.
“Colui che per primo ha posto il problema delle condizioni di vita nei manicomi è stato il dottor Franco Basaglia, docente di psichiatria all’Università di Padova. Dall’esperienza di Basaglia si attinse a piene mani per scrivere la legge 180 del 1978 che mise la parola fine all’esperienza manicomiale anche se oggi il processo definitivo di superamento dell’istituzionalizzazione non si è ancora concluso”, continua D’Arrando.
“Si inizia a far strada l’importanza di elaborare un progetto costruito sui bisogni sanitari, sociali, individuali della persona fragile per definire interventi socio-sanitari mirati. Un concetto, questo, che non vale solo per il disagio mentale, ma anche per molte altre condizioni. Un sistema che parte dalla valorizzazione dei contesti di vita e che porta davvero alla riabilitazione delle persone con disabilità, degli anziani, di chi è affetto da una malattia cronica. Il Budget di Salute si propone proprio questo: elaborare, a partire dalla persona, un progetto individualizzato, coprogettato e cogestito insieme ai servizi socio sanitari e sanitari, alla famiglia, al mondo del Terzo Settore e alla comunità, per garantire il diritto della persona alla socialità, all’abitare, al lavoro”, conclude D’Arrando.
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