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Epatite c, in Puglia stanziati 5 mln per screening ma manca tavolo tecnico

Gli esperti: destinare fondi a ser.d., servono personale e laboratori per test rapidi

Bari – “In Puglia sono stati stanziati circa 5 milioni di euro per lo screening dell‘epatite C. Potremmo essere soddisfatti, ma il problema è che siamo ancora in alto mare: non c’è un tavolo tecnico che decida come distribuire questi fondi o come effettuare gli screening dal punto di vista operativo. Insomma, ci troviamo davanti a queste difficoltà e la Puglia è ancora indietro rispetto ad altre Regioni”. Lo ha detto Michele Milella, dirigente medico presso la UOC Malattie Infettive – AO Policlinico di Bari, in occasione del corso di formazione ECM sulla gestione dei tossicodipendenti con epatite C, organizzato dal provider Letscom E3 con il contributo non condizionante di AbbVie. Il corso, dal titolo ‘Epatite C: diagnosi precoce e trattamento nelle popolazioni speciali’, rientra nell’ambito di ‘HAND – Hepatitis in Addiction Network Delivery’, il progetto di networking a livello nazionale patrocinato da quattro società scientifiche (SIMIT, FeDerSerD, SIPaD e SITD) che dal 2019 coinvolge i Servizi per le Dipendenze e i Centri di cura per l’HCV afferenti a diverse città italiane.


“Ci auguriamo intanto che venga prorogata la scadenza dei fondi- ha proseguito Milella- anche perché a causa dell’emergenza Covid non abbiamo avuto ancora modo di organizzarci. Poi aspettiamo che ci indichino le modalità con cui possono essere utilizzati questi fondi. Insomma, è auspicabile che al più presto venga istituito un tavolo tecnico di esperti regionali”. Parte di questi fondi, secondo il dirigente medico, dovrebbero essere destinati ai Servizi per le Dipendenze per effettuare gli screening. “Nei Ser.D., infatti, c’è un’alta percentuale di soggetti HCV positivi che dovrebbero essere ‘scovati’ attraverso questi test- ha spiegato- Altri fondi andrebbero destinati ai medici di medicina generale, che dovrebbero effettuare gli screening sui loro assistiti, mentre altri fondi andrebbero indirizzati agli ospedali, che potrebbero effettuare gli screening capillarmente a tutti i pazienti che vengono ricoverati o che accedono in ospedale. Tutto questo nel tentativo di far emergere il ‘sommerso’, perché questo è l’obiettivo dei fondi messi a disposizione”.

Ma il problema, per Milella, è soprattutto la carenza di personale medico nei Ser.D.: “Ci sono pochi medici e spesso le strutture dove operano gli operatori sono anche piuttosto fatiscenti- ha sottolineato- È senz’altro necessario aumentare il personale nei Servizi per le Dipendenze e predisporre presso i Ser.D. dei laboratori per poter effettuare gli screening, perché è lì che sicuramente si trovano i pazienti da ‘scovare’ e da portare a terapia”. Quanto all’utilizzo di test rapidi, sono “fondamentali per far emergere il sommerso nei tossicodipendenti che afferiscono ai Ser.D., proprio per questo- ha evidenziato ancora Milella- sarebbe opportuno predisporre nei Ser.D. dei laboratori, facendo in modo che i Servizi per le Dipendenze non siano solo dispensatori di metadone, perché non dovrebbe essere così”.


A partecipare al corso sulla gestione dei tossicodipendenti con epatite C anche Antonio Taranto, ex direttore del Dipartimento Dipendenze Patologiche presso la ASL di Bari, che così è intervenuto in merito alla situazione relativa ai Ser.D.: “Manca un’attenzione particolare sui Servizi per le Dipendenze, che ho l’impressione che in molte parti d’Italia subiscano la stessa stigmatizzazione dei pazienti che curano. Il tossicodipendente avrebbe bisogno di assistenza medica anche a livello cardiologico e a livello polmonare, cioè di un’assistenza medica molto più complessa di quella che possiamo fare noi. Fino a quando i Ser.D. saranno tenuti lontani dalle case della salute o dagli ambulatori ospedalieri sarà difficile portare avanti progetti. Bisognerebbe cercare di portare i Ser.D. nell’alveo dell’organizzazione sanitaria di base, come accade per qualsiasi altro servizio specialistico”. Fondamentalmente, secondo l’esperto, è infatti il ‘collegamento’ tra gli specialisti: “Bisogna riunire tutte le specialità che negli ultimi cinquant’anni abbiamo spezzettato- ha detto- la persona è una e non si può pensare di farla girare come una trottola, da una parte sicura il braccio destro e dall’altra il piede sinistro, ma cercare di accorpare le varie specialità e di farle dialogare tra di loro”.

Per il tossicodipendente con epatite C, in particolare, occorrono “due specialisti: uno di Malattie Infettive e l’altro di dipendenze patologiche. Non si può pensare- ha proseguito Taranto- che lo specialista di Dipendenze Patologiche sappia gestire anche una terapia antivirale, così come non si può immaginare che un virologo sappia gestire anche I comportamenti bizzarri del tossicodipendente.

Quindi è necessario che i medici siano vicini tra di loro e interagiscano molto”. E proprio in questa direzione, nonostante un “rallentamento delle attività a causa del Covid”, si è mossa l’intesa siglata quest’anno tra la ASL di Bari e il reparto di Malattie Infettive dell’Università, per cui “una volta a settimana lo specialista infettivologo viene nel Ser.D. a visitare i nostri pazienti- ha fatto sapere Taranto- per cercare di avvicinarci al 100% di procedure completate, cioè di pazienti diagnosticati con il test rapido, poi inviati alle Malattie Infettive e presi in carico dallo stesso reparto. Si tratta di una collaborazione concreta tra specialisti che si incontrano nello stesso servizio”.


Durante il corso di formazione, il dottor Taranto ha infine illustrato alcuni dati relativi all’incidenza dell’epatite C nei tossicodipendenti in Puglia: “Nell’ambito delle dipendenze patologiche fino al 2018 avevamo pochissimi dati e la proiezione ci suggeriva un tasso di prevalenza intorno al 12% dell’intera utenza, questo significava che all’incirca 600 pazienti tossicodipendenti erano affetti da epatite C nella provincia di Bari, quindi probabilmente circa 1.500 in tutta la Puglia. Nel 2018 abbiamo poi avuto un primo progetto di screening generale dei tossicodipendenti su numeri molto più consistenti, in particolare nella ASL di Bari, su un campione di quasi 1.000 utenti testati con i test salivari.

Abbiamo quindi raggiunto una percentuale di circa il 30% degli utenti in carico, il che significa 1.800 nella provincia di Bari e probabilmente sui 3.500 nella regione Puglia”. Prima del progetto si avevano pochi dati in merito, perché il tossicodipendente è “una persona con caratteristiche comportamentali particolari- ha aggiunto ancora Taranto- quindi noi ci limitavamo a suggerire al tossicodipendente di recarsi presso gli specialisti di Malattie Infettive per fare il test, ma strada facendo si perdeva. Allora, cambiando l’ordine delle cose, cioè facendo i test rapidi salivari nello stesso Ser.D. in cui il tossicodipendente riceve le cure, abbiamo ottenuto un buon risultato e siamo anche riusciti a convincere meglio i pazienti a recarsi presso le Malattie Infettive per iniziare la cura”, ha concluso.

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